domenica, ottobre 31, 2010

Ora che non è più di moda...

...e dunque se ne può parlare con più serenità.

Il problema è quello della rettifica delle notizie pubblicate in rete.

Qui Stefano Quintarelli fa una proposta e come giustamente conclude "il tema è importante, ha a che fare con diritti fondamentali. La tecnologia determina una discontinuità che, se guardiamo con gli occhi rivolti al passato, pone solo problemi da inseguire. In questo caso invece ci offre la possibilità di fare un passo avanti alla ricerca di un nuovo equilibrio tra la libera espressione delle idee e la tutela della reputazione".

C'è l'esigenza di un'effettività dell'istituto della rettifica che di certo non è assicutata dalle regole attuali, nè lo sarebbe operando una mera estensione di quelle già previste per la carta stamapata o per la televisione.

Perchè in Rete il problema non è tanto la notizia in sè, ma ciò che resta nei motori di ricerca una volta che la notizia si è diffusa urbi et orbi: che me ne faccio allora di una rettifica pubblicata con tutti i crismi, se poi cercando su Gooogle il risultato è sempre quello della notizia prima della rettifica perchè 10.000 blog hanno ripreso quest'ultima e non la successiva versione? Che me ne faccio una rettifica se non è in grado di avere un effetto virale?

Ambienti nuovi richiedono regole nuove.

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sabato, ottobre 30, 2010

Google street view: come ti risolvo il problema in stile U.S.A.




Il Nando Mericoni interpretato da Alberto Sordi nel film "Un americano a Roma" probabilmente avrebbe commentato la notizia con il suo "...quelli sanno che devono fare, quelli so Americani... infallibili".

E così mentre da noi il Garante Privacy "ha imposto a Google di bloccare qualsiasi trattamento sui cosiddetti "payload data" captati dalle vetture di Street View, e ha inviato gli atti all'autorità giudiziaria perché valuti gli eventuali profili penali derivanti dalla raccolta di questo tipo di dati", adottando apposito provvedimento, negli Stati Uniti la stessa vicenda viene frettolosamente archiviata dalla Federal Trade Commission, la quale nella comunicazione inviata in merito alla chiusura di un'istruttoria (in verità, mai compiuta) scrive: "Further, Google has made assurances to the FTC that the company has not used and will not use any of the payload data collected in any Google product or service, now or in the future. This assurance is critical to mitigate the potential harm to consumers from the collection of payload data.Because of these commitments, we are ending our inquiry into this matter at this time."

Praticamente hanno chiesto "tutto risolto?" e Google ha risposto "tutto risolto".

Quelli sanno che devono fare, quelli so Americani (cit.)




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Italian Open Data License: un suggerimento

Seguendo la strada aperta dalla Open Government License anglosassone, anche da noi è stata adottata una licenza analoga, la Italian Open Data License (IODL) v. 1.0.

E' un'ottima iniziativa, come ha giustamente sottolineato Ernesto Belisario.

Visto che la licenza in questione è appena nata ed è ancora in versione beta mi permetto di segnalare quella che, a mio avviso, è un'imprecisione, sperando possa essere corretta.

Nella parte finale si dice: "La IODL è compatibile con i modelli di licenza Creative Commons 2.5": scritta così, ha poco senso.

Occorrerebbe specificare a quale licenza in particolare ci si riferisce, perchè è evidente che la IODL non sia compatibile con tutte le licenze CC.

In verità, la compatibilità dovrebbe essere con la licenza By-NC-SA.

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Cassazione su Console e Misure Tecnologiche di Protezione

Mi è capitato di leggere questa sentenza della Cassazione (Cass. Pen., Sez. III, n. 23765/2010) sulle modiche delle console da videogame e il problema della rimozione delle misure tecnologiche di protezione.

Il principio enunciato dalla Cassazione non è nuovo, ma credo sia interessante soffermarsi sul differente approccio (anche questo non nuovo) tra il Tribunale del riesame ed i giudici della Suprema Corte sull'inquadramento della fattispecie.

Il tribunale del riesame, infatti, "ha ritenuto insussistente il fumus del reato ritenendo in primo luogo che il meccanismo inserito dal produttore sulla consolle , finalizzato a limitarne la funzionalità, non possa essere inquadrato in quei dispositivi previsti dalla L. n. 633 del 1941, art. 102 quater. E ciò in quanto la norma in questione farebbe riferimento in realtà alle sole tecnologie apposte direttamente sulle opere o su materiali protetti dal diritto di autore mentre ciò che l'indagato disattivava era posto al di fuori del supporto contenente l'opera oggetto di tutela. Osservava inoltre il tribunale che il meccanismo in esame non era nemmeno finalizzato ad impedire in modo diretto e immediato la creazione di copie abusive e che non si poteva affermare con certezza che la rimozione della limitazione della consolle avesse come fine principale quello di violare il diritto di autore in quanto lo scopo della modifica "pareva essere di più generale portata" consentendo la possibilità di utilizzo della consolle come un vero computer".

La Corte di Cassazione, al contrario, "le misure tecnologiche di protezione" (o MTP) si sono aggiornate ed evolute seguendo le possibilità, ed i rischi, conseguenti allo sviluppo della tecnologia di comunicazione, ed in particolare della tecnologia che opera sulla rete e che una parte significativa degli strumenti di difesa del diritto d'autore sono stati orientati ad operare in modo coordinato sulla copia del prodotto d'autore e sull'apparato destinato ad utilizzare quel supporto".

Secondo la Cassazione, allora, la console, pur essendo una mera componente hardware, costituisce "il supporto necessario per far "girare" software originali e che il meccanismo di protezione opera in via intercambiabile nel senso che la indicazione apposta direttamente sul software dialoga con l'altra misura apposta sull'hardware e le due, agendo in modo complementare tra loro, accertano la conformità dell'originale, consentendone la lettura".

Seguendo questo ragionamento, "l'introduzione di sistemi che superano l'ostacolo al dialogo tra consolle e software non originale, come correttamente rilevato anche nelle memorie delle parti offese, ottengono il risultato oggettivo di aggirare i meccanismi di protezione apposti sull'opera protetta".

L'unica parte, che a mio avviso, non convince pienamente è quella nella quale la Corte liquida il problema della "prevalente finalità elusiva" che, giova ricordarlo, è elemento della fattispecie costituente reato ex art. 171 ter, comma 1, lett. f-bis) L.d.A.

Sul punto la Corte afferma "...vale la pena di ricordare infatti che nella precedente decisione questa Sezione era giunta alla conclusione che alle modifiche dovesse essere riconosciuta necessariamente la prevalente finalità di eludere le misure di protezione indicate dall'art. 102 quater in considerazione di una serie di elementi quali il modo in cui la consolle è importata, venduta e presentata al pubblico; la maniera in cui la stessa è configurata; la destinazione essenzialmente individuabile nell'esecuzione di videogiochi come confermata dai documenti che accompagnano il prodotto; il fatto che alcune unità, quali tastiera, mouse e video, non sono fornite originariamente e debbono eventualmente essere acquistate a parte".

Qui il ragionamento si fa più tortuoso. Se si può concordare sul fatto che le misure tecnologiche possano essere il frutto di una combinazione hardware/software, esse devono comunque essere preordinate alla salvaguardia dell'effettività della tutela di un'opera dell'ingegno, segnatamente il videogame in questo caso.

Ed, allora, le caratteristiche della console (dunque, l'hardware), per come importata e venduta, possono essere prese in considerazione quale unico elemento per determinare il concetto di "prevalenza"?

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giovedì, ottobre 28, 2010

Agenzia delle Entrate: dopo sei anni finalmente ci siamo

E' dal 2004, con il D.M. del 23 gennaio sulle modalità di assolvimento degli obblighi fiscali per i documenti informatici e la loro riproduzione in diversi tipi di supporto, che "le aziende possono distruggere fatture e altra documentazione cartacea dopo averla memorizzata su un supporto informatico, a condizione che generino questa impronta" (come ricorda l'Agenzia delle Entrate nel suo comunicato stampa).

Mancava ancora un tassello (che non impediva, però, la conservazione sostitutiva), ovverosia il provvedimento dell'Agenzia delle Entrate per la definizione delle modalità tecniche di comunicazione dell'impronta relativa ai documenti informatici rilevanti ai fini tributari,ai sensi dell'articolo 5 del citato D.M.

Quel provvedimento è finalmente arrivato.

I contribuenti che iniziano l'attività di conservazione sostitutiva nel 2010, dovranno comunicare l'impronta entro gennaio 2012.

Cosa accade per chi ha portato in conservazione i documenti fiscalmente rilevanti prima del 2010? Come ricorda l'Agenzia delle Entrate, "Per gli anni d’imposta precedenti al 2010, i contribuenti che hanno proceduto a conservare i documenti rilevanti ai fini tributari con modalità digitale dovranno trasmettere le comunicazioni sempre entro gennaio 2012, ossia entro lo stesso termine d’invio previsto per comunicare l’impronta dell’archivio informatico relativo al 2010. Si ricorda che la comunicazione all’Agenzia delle Entrate estende la validità dei documenti fino a che permane l’obbligo di conservarli ai fini tributari".

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Decreto Pisanu ... ogni anno le stesse inesattezze

Oggi Punto Informatico dedica un articolo al Decreto Pisanu e alle restrizioni in esso previste per gli hot-spot pubblici.

Questo il sottotitolo: "Con la fine dell'anno scade anche il dibattuto obbligo di registrazione degli utenti WiFi. Dal ministro Maroni uno spiraglio per il suo superamento. Ma non ci sono certezze"

Lo ripeto per l'ennesiva volta, sperando che prima o poi qualcuno trovi il tempo di leggere la norma prima di scrivere: quella parte del decreto c.d. Pisanu non scade! Qui gli innumerevoli post dedicati al tema.

Continuiamo a farci del male.

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lunedì, ottobre 25, 2010

Mi tocca essere d'accordo con la SIAE

Sempre sulla recente sentenza della Corte di Giustizia in materia di equo compenso.

Il Direttore Generale SIAE, Gaetano Blandini, commentando la sentenza afferma: "La normativa italiana sulla copia privata già prevede esenzioni per gli usi professionali e delle pubbliche amministrazioni... Circa la precisazione innovativa della Corte, e cioè la non conformità alle norme europee di una applicazione 'indiscriminata' dell’equo compenso per copia privata, è da chiarire che sin dal 2003 – anno in cui è stata recepita in Italia la direttiva comunitaria - trova attuazione in Italia, in particolare nelle procedure della SIAE (ente pubblico al quale la legge demanda l’applicazione della normativa nazionale sulla copia privata), un sistema di esenzioni e rimborsi"

In effetti si tratta di un aspetto che era contenuto anche nel documento (v. in particolare la nota n. 3) che, insieme a Leonardo Maccari e Lorenzo De Tomasi, avevo preparato per un'audizione della Commissione che si è occupata di definire la bozza del c.d. Decreto Bondi.

Ripeto, a mio avviso la sentenza non sposterà molto rispetto alla normativa italiana che è sufficientemente coerente con il quadro comunitario, ma è comunque una pronuncia interessante perchè ricorda, se mai ce ne fosse bisogno, che l'equo compenso non è e non deve diventare una tassa contro la pirateria, ma solo una compensazione per una contrazione dell'area di esclusività del diritto di riproduzione.


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domenica, ottobre 24, 2010

Hacker Journal n. 207

Sul numero in edicola di Hacker Journal (il n. 207) c'è un mio articolo dal titolo "Quale futuro per la net neutrality?".

Con la redazione si è pensato di inserire una sorta di rubrica "Legally speaking" all'interno di una rivista notoriamente tecnica come HJ.

Vediamo se l'esperimento proseguirà anche sui prossimi numeri.

Nel frattempo, correte in edicola ad acquistare Hacker Journal ;-)

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sabato, ottobre 23, 2010

Tribunale di Viterbo: un forum non è assimilabile ad una testata giornalistica

Interessante ordinanza del Tribunale di Viterbo, in sede di reclamo, nel procedimento cautelare che vede contrapposte Mega Trends srl e ADUC per alcuni post pubblicati sul forum di quest'ultima.

Secondo i giudici viterbesi, "il forum non è una pubblicazione con una propria identità editoriale, quale può essere un media a mezzo stampa, una trasmissione televisiva o giornalistica ma è un luogo aperto, accessibile a tutti, ove la comunicazione fra soggetti si realizza senza mediazione se non quella tecnica; è una bacheca della piazza virtuale sulla quale il controllo in entrata non è materialmente possibile se non a prezzo del sacrificio della sua preziosa qualità".

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venerdì, ottobre 22, 2010

Equo compenso: cosa ha detto la Corte di Giustizia (e cosa non ha detto)

Come ho già scritto, il 21 ottobre u.s la Corte di Giustizia Europea ha pronunciato un'importante sentenza in materia di equo compenso, ossia il prelievo imposto su strumenti e supporti di registrazione per compensare i titolari dei diritti per la c.d. copia privata.

Provo a riassumere di seguito ciò che la Corte ha affermato.

1. Il concetto di "equo compenso" è parte integrante del diritto comunitario e come tale deve ricevere un'interpretazione ed un'applicazione uniforme negli stati membri laddove gli stessi abbiano previsto nella loro legislazione l'eccezione per copia privata.

2. L'equo compenso rappresenta un sistema per compensare i titolari dei diritti per la contrazione dell'area di esclusività del diritto di riproduzione a seguito dell'introduzione dell'eccezione per copia privata. Per questi motivi lo stesso concetto di "equo compenso" e la determinazione del quantum debeatur devono essere collegati al pregiudizio subito dai titolari dei diritti.

3. Se l'equo compenso serve per compensare il pregiudizio subito dai titolari dei diritti per l'eccezione di copia privata, allora, dice la Corte, è il privato che deve pagare, cioè il soggetto beneficiario dell'eccezione. Tuttavia, aggiunge la Corte, poichè un meccanismo del genere sarebbe di difficile attuazione, al fine di raggiungere il medesimo scopo, gli Stati Membri possono imporre una tassa (a private copying levy) a carico di chi possiede strumenti di riproduzione o li rende disponibili al pubblico o vende servizi finalizzati a quello scopo. E' vero, afferma la Corte, che questo sistema non è quello delineato nella direttiva 2001/29/CE, ma raggiunge comunque il medesimo scopo poichè chi vende gli strumenti di riproduzione (lettori mp3, cd, DVD ecc) carica sul prezzo l'equo compenso che quindi sarà pagato dal privato che effettua la copia.

4. Arriviamo ad uno dei punti di maggiore interesse: in ragione di quanto sopra, l'equo compenso può gravare indiscriminatamente su tutti i prodotti atti alla registrazione? La risposta della Corte è negativa, ma solo in parte a mio avviso. Si dice, infatti, che l'applicazione dell'equo compenso su tutti gli strumenti di riproduzione digitale, inclusi quelli acquistati per finalità professionali e, dunque, non destinati ad essere utilizzati per la registrazione di copie private, non è conforme all'ordinamento comunitario. Subito dopo, però, la Corte dice che laddove i predetti strumenti siano stati ceduti a persone fisiche per scopi privati allora non è necessario dimostrare che siano stati effettivamente utilizzati per realizzare copie private ("where the equipment at issue has been made available to natural persons for private purposes it is unnecessary to show that they have in fact made private copies with the help of that equipment and have therefore actually caused harm to the author of the protected work"). Come dire, non è contraria all'ordinamento comunitario l'indiscriminata estensione dell'equo compenso a tutti i device e i supporti di registrazione, ma solo l'indiscriminata estensione soggettiva (e, infatti, più avanti si dice: "It follows that the fact that equipment or devices are able to make copies is sufficient in itself to justify the application of the private copying levy, provided that the equipment or devices have been made available to natural persons as private users").

Come impatterà questa sentenza sul giudizio attualmente pendente davanti al TAR Lazio e che riguarda il c.d. Decreto Bondi? A mio avviso non sposterà di molto le valutazioni (quali esse siano) del giudice amministrativo. Anche perchè la sentenza, nella parte finale, rimanda (come ovvio) al giudice nazionale la valutazione circa la compatibilità di una determinata scelta normativa con l'ordinamento comunitario.

Staremo a vedere.




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giovedì, ottobre 21, 2010

Dalla Corte di Giustizia Europea una drastica limitazione al c.d. equo compenso

E' una decisione davvero molto importante quella appena presa dalla Corte di Giustizia Europea in materia di equo compenso (il corrispettivo per l'eccezione di copia privata che grava sui supporti di memorizzazione, quali lettori mp3, cd, dvd ed altro ancora).

Di seguito le determinazioni della Corte:

1. The concept of ‘fair compensation’, within the meaning of Article 5(2)(b) of Directive 2001/29/EC of the European Parliament and of the Council of 22 May 2001 on the harmonisation of certain aspects of copyright and related rights in the information society, is an autonomous concept of European Union law which must be interpreted uniformly in all the Member States that have introduced a private copying exception, irrespective of the power conferred on the Member States to determine, within the limits imposed by European Union law in particular by that directive, the form, detailed arrangements for financing and collection, and the level of that fair compensation.

2. Article 5(2)(b) of Directive 2001/29 must be interpreted as meaning that the ‘fair balance’ between the persons concerned means that fair compensation must be calculated on the basis of the criterion of the harm caused to authors of protected works by the introduction of the private copying exception. It is consistent with the requirements of that ‘fair balance’ to provide that persons who have digital reproduction equipment, devices and media and who on that basis, in laworin fact, make that equipment available to private users or provide them with copying services are the persons liable to finance the fair compensation, inasmuch as they are able to pass on to private users the actual burden of financing it.

3. Article 5(2)(b) of Directive 2001/29 must be interpreted as meaning that a link is necessary between the application of the levy intended to finance fair compensation with respect to digital reproduction equipment, devices and media and the deemed use of them for the purposes of private copying. Consequently, the indiscriminate application of the private copying levy, in particular with respect to digital reproduction equipment, devices and media not made available to private users and clearly reserved for uses other than private copying, is incompatible with Directive 2001/29.

Sicuramente avrò modo di riparlarne. Direi che è uno stop deciso a quel tentativo degli stati nazionali di utilizzare l'equo compenso per socializzare i presunti danni da pirateria.

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domenica, ottobre 17, 2010

Siae-Creative Commons e la trasparenza che manca

Vi invito a leggere questo post di Luca Nicotra: "Non chiedo che Wired faccia politica, però...".

Wired pubblica un articolo dal titolo "sensazionalistico" ("Siae, apertura verso i Creative Commons"), riciclando una storia vecchia di due anni e dalla quale non si è cavato un ragno dal buco.

Come ricorda Luca nella sua ricostruzione "Due anni fa SIAE e Creative Commons Italia si incontrano e formano un gruppo di lavoro che presentano con questo comunicato:


Il 23 dicembre 2008 a Roma si è formalizzata la costituzione del Gruppo di Lavoro Giuridico misto, composto da rappresentanti della SIAE e da esponenti del gruppo di lavoro Creative Commons Italia, tra i quali l’Avv. Deborah De Angelis in qualità di referente principale basato a Roma.
Il Gruppo di Lavoro Giuridico misto, che si incontrerà a Roma, presso la sede della Direzione Generale della SIAE, indicativamente ogni 15 giorni, svolgerà uno studio approfondito per dare la possibilità agli autori che hanno optato per il rilascio delle proprie opere con licenze libere, riservandosi gli usi commerciali, di affidare alla SIAE la raccolta e distribuzione dei relativi proventi."

Da allora il nulla e non solo nel senso di risultati raggiunti, che non sarebbe poi così assurdo considerando l'interlocutore istituzionale.

Ciò che sorprende è l'assoluta non trasparenza dei lavori di questo gruppo da parte di Creative Commons Italia: un vero e proprio ossimoro per un movimento che fa della condivisione e della libera circolazione delle informazioni le sue parole d'ordine.

Nessuno (neppure gli addetti ai lavori o gli studiosi della materia) ha potuto prendere visione dei verbali degli incontri, dei documenti prodotti, delle proposte avanzate da un lato e dall'altro.

Nessuna trasparenza.

Ammettiamo pure che questa opacità sia stata imposta da SIAE. Se così fosse, sarebbe stato un ottimo motivo per lasciare da subito il tavolo delle trattative.

Quando partecipai come esponente di Frontiere Digitali, insieme ad Arturo Di Corinto e Lorenzo De Tomasi, alla commissione nominata dal Prof. Gambino per approntare una proposta di revisione dell'attuale legge sul diritto d'autore, ponemmo come condizione che tutti i lavori fossero liberamente accessibili in rete e così avvenne.

Posto che a quel tavolo non si stanno decidendo le sorti dell'umanità e che perfino le bozze del famigerato ACTA sono state rese disponibili in rete, direi che è arrivato il momento di far conoscere alla Rete ed in Rete cosa è stato fatto in questi due anni... magari su wikileaks :-)

Liberate quei dati. Information wants to be free.



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giovedì, ottobre 14, 2010

Sul downloading da YouTube

Ho letto questo articolo su Il Sole 24 ore dal titolo eloquente: "L'altra faccia dello streaming" di Alessandro Longo.

Il sottotitolo, non presente, ma facile da immaginare è che la cosa abbia a che fare con la pirateria digitale.

Mi ha colpito in particolare questa parte (che giuridicamente condivido in pieno): "Il boom più grande in Italia è ora però delle applicazioni di video/audio ripping. Da noi è usato molto soprattutto Free YouTube to Mp3 Converter", aggiunge Mazza. Sono software che consentono di rendere file, su hard disk, la musica ascoltata sul sito di streaming: in barba al copyright, s'intende. È l'altra faccia del boom dello streaming che, legalmente, sta aumentando gli utenti e i proventi delle case discografiche, che fanno accordi con YouTube. Lo streaming audio invece in Italia non è ancora decollato, anche se ci prova Dada.

Sul fatto che il downloading da YouTube non rientri tecnicamente nel concetto di copia privata (come tale lecita) mi ero espresso lo scorso marzo nel corso della conferenza annuale del circolo dei giuristi telematici.

Ripeto, a maggior ragione, quanto affermato allora: non è che con l'equo compenso per copia privata (che grava su qualsiasi memoria atta alla registrazione) stiamo semplicemente socializzando i presunti danni da pirateria?

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martedì, ottobre 12, 2010

E' la legge, bellezza.

Gilioli non perde occasione per ricordarci in quale stato di polizia viviamo.

Questa volta lo fa raccontando la storia capitata al blog "Sul Romanzo" che si è visto rimuovere da Google (il blog è ospitato sulla piattaforma blogger - come questo - di cui google è proprietaria) un paio di post dal presunto carattere diffamatorio a seguito di segnalazione della polizia giudiziaria nell'ambito di indagini in corso per il reato di cui all'articolo 595 c.p. (diffamazione, per l'appunto).

La conclusione del post di Gilioli non lascia adito a dubbi: "E' una schifezza, che ovviamente non si può tecnicamente applicare ai giornali cartacei ma viene usata tranquillamente sul Web, con la complicità dei fornitori di servizi. E questo post è rivolto anche ai molti amici e conoscenti che ho a Google: davvero, ragazzi, non avevate alcuna alternativa a sdraiarvi come zerbini alla prima lettera, anziché aspettare una sentenza di merito, almeno di primo grado?"

Sulla presunta "schifezza" le cose più chiare e tecnicamente corrette le ha scritte Francesco Paolo Micozzi, commentando il post incriminato.

Le riporto di seguito, sperando che chi ha voglia di imparare qualcosa colga l'occasione per farlo:

"Purtroppo non si vede chiaramente il provvedimento di cui si parla però ritengo che non sia un atto particolarmente "strano".

Le ipotesi sono:
1) il PM non è ancora intervenuto e la PG agisce di propria iniziativa. In questo caso si applica l'art. 55 del c.p.p. nella parte in cui si dice che "la polizia giudiziaria DEVE … impedire che i reati vengano portati a conseguenze ulteriori". Evidentemente la polizia giudiziaria ha ritenuto che – per impedire che il reato venisse portato ad ulteriori conseguenze – la pagina "incriminata" (per la quale ritengo si proceda per diffamazione aggravata) dovesse essere rimossa.

2) il PM è intervenuto ed ha delegato alla PG di sottoporre a sequestro probatorio il sito in questione
3) il PM è intervenuto, ha richiesto un sequestro preventivo al GIP che ne ha disposto l'esecuzione mediante la PG.

Escluderei le ipotesi 2 e 3 perché così mi pare di capire dall'articolo.

Ma nella prima ipotesi trova applicazione l'art. 354 c.p.p. secondo cui "in relazione ai dati o ai sistemi informatici o telematici gli ufficiali di polizia giudiziaria adottano le misure tecniche o impartiscono le prescrizioni necessarie ad assicurarne la conservazione e ad impedirne l'alterazione e l'accesso"… e provvedono alla "immediata duplicazione su adeguati supporti mediante una procedura che assicuri la conformità della copia all'originale e la sua immodificabilità".
Probabilmente la PG ha richiesto a BigG (o meglio ha impartito le prescrizioni necessarie) di assicurarne la conservazione ed impedirne l'accesso.

Non è assolutamente detto, quindi, che un blog messo offline non sia ripristinabile o ne sia andato definitivamente perso il contenuto.

A questo punto, se vi è stata attività di iniziativa della PG, sarà il PM a dover convalidare o meno questo "sequestro" entro 48 ore (art. 355 cpp). Se si ha la convalida… solo contro quest'ultimo provvedimento del PM potrà proporsi riesame entro 10 giorni."

Sullo "sdraiarsi come zerbini" di Google & Co, sarebbe utile invece conoscere quanto prescrive l'articolo 16, d.lgs 70/2003:

Art. 16 (Responsabilità nell'attività di memorizzazione di informazioni - Hosting)

1. Nella prestazione di un servizio della società dell'informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non è responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore:

  • non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l'attività o l'informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l'illiceità dell'attività o dell'informazione;
  • non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l'accesso.

2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano se il destinatario del servizio agisce sotto l'autorità o il controllo del prestatore.

3. L'autorità giudiziaria o quella amministrativa competente può esigere, anche in via d'urgenza, che il prestatore, nell'esercizio delle attività di cui al comma 1, impedisca o ponga fine alle violazioni commesse.

Tutto questo giusto per avere un paio di coordinate tecnico-giuridiche.

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lunedì, ottobre 11, 2010

Una trasmissione televisiva non è un documento amministrativo

Curiosa la vicenda alla base della sentenza n. 32736/2010 del TAR Lazio, sez. III ter.

Il ricorso trae origine dal silenzio rifiuto formatosi su una richesta di copia della registrazione del programma televisivo "Un giorno in Pretura", intitolato "Cattivi Maestri".

Sotto il profilo squisitamente giuridico il Tribunale amministrativo ha avuto modo di affermare che "la normativa sull'accesso ha per oggetto i "documenti amministrativi", per essi intendendosi quelli che costituiscono espressione dell'esercizio di funzioni amministrative da parte della Pubbliche amministrazioni o dei soggetti incaricati di pubbliche funzioni. E' palese che tale connotazione non può essere riconosciuta ad un filmato relativo ad una trasmissione televisiva riconducibile alla Rai, trattandosi di un'opera di ingegno e non di un provvedimento amministrativo da essa emanato nell'esercizio di un potere autoritativo in esecuzione di un pubblico servizio".

L'elemento di curiosità è quanto riportato in altra parte del provvedimento dove la RAI nell'opporsi al ricorrenti "eccepisce l'inammissibilità del ricorso ....in primo luogo perché il filmato trasmesso su Rai Tre in data 1 marzo 2008 nel corso del programma televisivo "Un giorno in Pretura", intitolato "Cattivi Maestri", che costituisce oggetto della richiesta di ostensione, è visionabile e scaricabile dal sito Youtube".

A cui replica così il Tribunale: "L'eccezione non è suscettibile di positiva valutazione atteso che la stessa Rai afferma che si tratta di copia "non ufficiale" perché immessa sul sito senza autorizzazione".

Quando si dice che a parlar male della pirateria ci si fa dei danni da soli :-)

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domenica, ottobre 10, 2010

ACTA: altro giro, altra corsa

Qualche giorno fa è stata resa nota una nuova bozza dell'Anti-Counterfeiting Trade Agreement (ACTA), a seguito del nuovo giro di trattative dello scorso settembre a Tokyo.

Non ho ancora letto il testo, ma da commenti autorevoli pare che ci sia stato un netto passo avanti, quanto meno per ciò che concernte il regime di responsabilità degli intermediari.

Mi sembrano ad ogni modo confortanti le dichiarazioni di Gigi B. Sohn, presidente e co-fondatore di Public Knowledge ("the final text of the Anti-Counterfeiting Trade Agreement (ACTA) should be seen as a qualified victory for those who want to protect the digital rights of consumers around the world. Some of the most egregious provisions from earlier drafts have been removed on topics ranging from digital protection measures to the liability of intermediaries like Internet Service Providers and search engines").

Un passo avanti nella giusta direzione

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venerdì, ottobre 08, 2010

Internet for Peace: poco poco, ma si era capito



Ora che finalmente il Premio Nobel per la pace è stato assegnato al dissidente cinese Liu Xiaobo può calare il sipario su una delle più grandi operazioni di marketing degli ultimi tempi, quella lanciata da Wired Italia per la candidatura di Internet per il nobel per la pace.

Ninjia marketing rivela qualche succulento dettaglio.

Ora siccome "Grazie alla campagna Internet for Peace, Wired sia riuscito a fare quello che oggi devono fare i grandi brand: alimentare dei “movimenti sociali”, cavalcandone l’energia e diventando esponenti di spicco di un movimento sociale e culturale" e "Le prossime battaglie? Sono le parole d’ordine del movimento. Come dice Riccardo Luna nel suo post: “Ci batteremo ogni giorno per tre cose fondamentali: una più che decente connessione a banda larga per tutti, il wifi libero e la libertà della Rete”, mi permetto di suggerire a Riccardo Luna e a Wired Italia di riscoprire e, dunque, trarre ispirazione da uno dei massimi pensatori del novecento: il mitico Catalano di quelli della Notte (v. video sopra).

Inviterei, allora, Wired a battersi per cose altrettanto fondamentali come la felicità per tutti, meglio il downloading gratuito che quello a pagamento, meglio una connessione più veloce che una meno veloce.

Ecco... io candiderei la banda larga per il nobel per la pace del prossimo anno. Internet era un pò deboluccia, ma la banda larga secondo me ce la può fare.

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giovedì, ottobre 07, 2010

Finalmente dopo due anni ci sono arrivati

Nelle ultime 24 ore è stato dato grande risalto in rete alla proposta bipartisan volta all'abrogazione dell'articolo 7 del c.d. decreto pisanu, ovverosia quella disposizione che, tra le altre cose, obbliga i gestori di un hot-spot pubblico alla previa identificazione (anche indiretta tramite sms) degli utilizzatori di una rete wi-fi.

Posso dire di essere commosso.

Sono due anni che predico, pressocchè nel deserto, tranne qualche lodevole eccezione, sul carattere permanente e non transitorio della normativa in esame e che, dunque, il problema non è mai stato la sua "proroga" di fine anno nel c.d. decreto milleproroghe (che andava ad estendere temporalmente un diverso aspetto dello stesso decreto), visto che non c'era nulla da prorogare.

Dodici mesi fa con l'on. Cassinelli avevamo messo mano ad un progetto di legge che cercava quanto meno di mitigare le asperità del citato articolo 7.

In quell'occasione non erano mancate le critiche volte a sottolineare l'errore implicito del progetto, ovverosia considerare permanente una disposizione in realtà transitoria.

Dopo due anni, finalmente, sono tutti d'accordo sul fatto che "per Natale, dunque, facciamoci un regalo: abroghiamo il decreto Pisanu, come proposto ieri pomeriggio a Montecitorio da Luca Barbareschi (Fli), Paolo Gentiloni (Pd) e Linda Lanzillotta (Api). Iniziamo il 2011 un po’ più leggeri e un po’ più moderni."

Meglio tardi che mai.



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Laziogate: il testo della sentenza (Trib. Roma 9122/2010)

Fulvio Sarzana pubblica sul suo blog il testo integrale della sentenza del caso c.d. Laziogate (il caso di spionaggio compiuto ai danni della lista di Alessandra Mussolini, Alternativa Sociale) conclusosi con la condanna di un noto esponente politico, in concorso, per accesso abusivo a sistema informatico di cui all'articolo 615-ter c.p.

87 pagine da leggere con attenzione.

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lunedì, ottobre 04, 2010

O la PEC o il fax (TAR PUGLIA - LECCE, SEZ. III - ordinanza 30 settembre 2010 n. 736)

Interessante questa ordinanza sospensiva del Tar Puglia secondo la quale: "la clausola del bando di gara che impone la contestuale disponibilità di più forme di ricezione concernenti le suddette comunicazioni di gara (ossia domicilio, fax e posta elettronica certificata), oltre a non apparire giustificata dalla presenza di particolari situazioni organizzative dell'ente, sembra porsi in contrasto con le previsioni di cui all'art. 79 del codice degli appalti, come da ultimo modificato dal decreto legislativo n. 53 del 2010, il quale individua mezzi alternativi (e non cumulativi) di comunicazione, e ciò anche alla luce della normativa di settore (cfr. decreto-legge n. 185 del 2008) che impone alle società già operanti di munirsi di un indirizzo PEC non prima del mese di novembre 2011"

Insomma, le stazioni appaltanti devo scegliere: o la PEC o il fax :-)

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sabato, ottobre 02, 2010

Cassazione Penale, sez. V, n. 35511/2010: il testo della sentenza

Ho pubblicato su Computerlaw il testo della sentenza della Cassazione con la quale la Suprema Corte ha chiarito che il nostro ordinamento non prevede la punibilità ai sensi dell’art 57 cp (o di un analogo meccanismo incriminatorio) del direttore di un sito informativo, di un blog ecc.

Altro aspetto interessante della sentenza (anche perchè su questo i giudici di merito hanno assunto posizioni assai eterogenee negli anni) è che si dice espressamente che con la Legge 7 marzo 2001 n. 62 non è stata effettuata la estensione della operatività dell’art. 57 cp dalla carta stampata ai giornali telematici, essendosi limitato il testo del 2001 a introdurre la registrazione dei giornali on line (che dunque devono necessariamente avere al vertice un direttore) solo per ragioni amministrative e, in ultima analisi, perché possano essere richieste le provvidenze previste per l’editoria.

Infine, non so se sono solo io ad averlo notato, ma mi sembra che la Corte attinga a piene mani dallo scritto di V. Zeno - Zencovich, La pretesa estensione alla telematica del regime della stampa (n Diritto dell'informazione e dell'informatica, 1998, pag. 15): segnale che la buona dottrina è in grado di produrre risultati positivi.

E la cattiva dottrina risultati negativi... soprattutto tra i giudici di merito.


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venerdì, ottobre 01, 2010

Cassazione su siti internet e responsabilità editoriale

Su Rainews viene data notizia del pronunciamento con cui la Corte di Cassazione (Cass. Pen. Sez. V, n. 35511/2010) ha annullato senza rinvio (perchè "il fatto non e' previsto dalla legge come reato") una sentenza della Corte d'appello di Milano che aveva dichiarato prescritto il reato di cui all'articolo 57 c.p. contestato al direttore della testata Merateonline per un articolo a carattere diffamatorio.

L'articolo 57 citato così recita:

Art. 57.
Reati commessi col mezzo della stampa periodica

Salva la responsabilità dell'autore della pubblicazione e fuori dei casi di concorso, il direttore o il vice-direttore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, è punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo.

La Cassazione, ribadendo un suo precedente orientamento, ha ritenuto inapplicabile tale disposizione al gestore di un sito internet, sia pure a carattere informativo, rilevando "l'assoluta eterogeneità della telematica rispetto agli altri media".

Conseguentemente, secondo la Corte, non possono essere chiamati a rispondere per un'eventuale condotta omissiva i gestori di forum, blog o siti informativi, non essendo rinvenibile nel nostro ordinamento alcun obbligo giuridico di controllo preventivo sugli stessi incombente.

Al contrario, si dice che "la cosiddetta interattività renderebbe probabilmente vano il compito di controllo del direttore di un giornale on-line".

Mi pare, dunque, che al di là di qualche estemporanea pronuncia di merito, la giurisprudenza di legittimità abbia ben chiara la differenza tra una testata giornalistica (anche telematica) registrata e la molteplicità di siti a carattere meramente informativo.



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