The sky is rising: Enzo Mazza replica a Paolo Brini
Ho appena ricevuto la replica di Enzo Mazza (FIMI) al post di ieri in cui erano contenute le osservazioni di Paolo Brini sullo studio "Tera consultants" sui danni da pirateria.
La trovate riportata di seguito. Buona lettura.
"mi chiedete una risposta e non ho problemi a fornirla. A parte l'approccio per il quale si risponde ad uno studio di 68 pagine con due sprezzanti considerazioni sulle basi della statistica. Ma veniamo ai punti chiave.
Scrivete: Prima di tutto, il calcolo delle perdite dei posti di lavoro nell'UE è ottenuto moltiplicando il numero totale di “infrazioni” riportate dai gruppi industriali per un un “tasso di sostituzione” arbitrario di 0,1 (citato da Enzo Mazza, qui basti far notare che ci sono studi che calcolano tale tasso, che pertanto non deve e non può essere fissato aprioristicamente >0)" Lo studio TERA cita altre ricerche che usano fattori di conversione e applica una media conservativa.
Le ricerche considerate, tutte con fattori di conversione maggiori sono: Hui and Png (2003) Peitz and Waelbroeck (2003, 2004) Zentner (2006 Michel (2006) Montoro-Pons and Cuadrado-Garcia (2006) Hong (2004, 2008) Liebowitz (2008) Leung (2009).
Magari tutti ignoranti di statistica, ma mi auguro di no, visto che si sono fior di accademici e alcuni studi non sono certamente teneri con l'industria.
Scrivete: "moltiplicato ancora per il prezzo medio di vendita del bene, diviso per il salario medio nell'Unione Europea, rimoltiplicato per 2 (altro fattore completamente arbitario) ed ulteriormente rimappato 1:1 (credo sia questo il 100% a cui si riferisce Boldrin)".
No, non è questo a cui si riferisce Boldrin dato che nell'articolo dell'espresso afferma: «Niente affatto», replica l'economista della Washington University, Michele Boldrin, «per una ragione che sanno anche i sassi: sono cifre a cui si arriva immaginando che chi ha ascoltato musica scambiandola con altri via internet senza il download l'avrebbe comprata, ai prezzi di monopolio di circa 20 euro per cd che le compagnie musicali impongono grazie al copyright».
Non è così, ed è questo che ho tenuto a segnalare con il mio post. Lo studio applica fattori di conversione completamente diversi da quelli citati da Boldrin e,nel caso della musica media tra prezzi digitali e cd fisici ovviamente.
Quello che afferma Boldrin all’Espresso non è vero, non è mai stato detto dall’industria che rappresento e non è scritto nello studio TERA.
Scrivete “sui tassi stimati di crescita della diffusione dell'accesso a Internet a banda larga nei prossimi anni. Viene ottenuto un numero adimensionale che viene di nuovo arbitrariamente interpretato come "numero di posti di lavoro" che verranno "persi" nell'Unione nei prossimi anni (fino a 1.217.000). Basterebbe questo conteggio e questa lunga serie di assunzioni arbitrarie per far bocciare qualsiasi studente ad un esame di Statistica 1.”
Vi sono studi dell'OCSE che applicano le stesse metodologie, anche in altri settori. Ma l'importante è denigrare il copyright. Se si parlasse di posti di lavoro nel settore auto tutti a scrivere che l'OCSE afferma che andranno persi milioni di posti di lavoro....
"Quel numero viene interpretato assumendo che TUTTE le perdite da pirateria (ottenute allo stesso modo con la prima parte del calcolo errato di cui sopra) ricadano sulle compagnie europee. Tuttavia questo è manifestamente errato in quanto le compagnie non europee (per esempio americane) sono le principali distributrici di opere cinematografiche e giocano inoltre un ruolo non trascurabile nel commercio della musica posta sotto copyright. "
A parte che la critica denota una scarsa conoscenza del mercato della musica. Prima di tutto le imprese cinematografiche e musicali non hanno più niente a che fare. Pertanto Universal Music non c'entra nulla con Universal Picture e Warner Bros niente con Warner Music, così come Columbia non è Sony. Detto questo, le società discografiche che operano in Europa generano ricavi che restano principalmente in Europa e i danni ad un gruppo come Vivendi, per esempio, azienda francese che ha sede in Francia sono danni per l'economia europea. In Italia, ad esempio, oltre il 54 % del venduto è costituito da repertorio italiano, e la pirateria colpisce le aziende con sede in Italia incidendo sui fatturati dell’azienda come e tanto quanto un’azienda locale. Non si capisce poi dove dovrebbero essere questi supposti benefici per società di importazione. Non solo, i danni ovviamente si riflettono anche sulla filiera i cui dati vengono da voi ignorati attribuendo un "raddoppio" arbitrario dei posti di lavoro quando la ricerca analizza le perdite per canale (vedasi appendice 7 dello studio integrale TERA) Avevo citato l'OCSE e suggerirei anche di leggere lo studio “ Magnitude of counterfeiting and piracy of tangible products – November 2009 update” e l'allegato sul digitale.
Saranno anche loro dei poveri studenti bocciati di statistica?
In ultimo ricordo un altro studio realizzato da KPMG per Amcham nel 2003. Anche lì sono stati usati degli elementi per la valutazione dei danni basati sul modello KPMG forensic utilizzato per quantificare i danni nelle controversie commerciali. In tutti questi studi i danni calcolati sono estremamente conservativi."
The sky is rising: la risposta di Paolo Brini a Enzo Mazza
Nel precedente post Enzo Mazza ha voluto gentilmente partecipare alla discussione sui numeri della pirateria.
A proposito dello studio "Tera", in particolare, Mazza sostiene di non aver ancora letto smentite sui dati nello stesso riportati.
Mi ha scritto Paolo Brini, che con me ha curato un saggio sul tema, per replicare all'affermazione di Mazza.
La pubblico di seguito, lasciando ovviamente ad Enzo Mazza la possibilità di contro replicare qualora voglia farlo.
Buona lettura
"Lo studio di TERA non ha alcuna attendibilità per errori basilari. Prima di tutto, il calcolo delle perdite dei posti di lavoro nell'UE è ottenuto moltiplicando il numero totale di “infrazioni” riportate dai gruppi industriali per un un “tasso di sostituzione” arbitrario di 0,1 (citato da Enzo Mazza, qui basti far notare che ci sono studi che calcolano tale tasso, che pertanto non deve e non può essere fissato aprioristicamente >0), moltiplicato ancora per il prezzo medio di vendita del bene, diviso per il salario medio nell'Unione Europea, rimoltiplicato per 2 (altro fattore completamente arbitario) ed ulteriormente rimappato 1:1 (credo sia questo il 100% a cui si riferisce Boldrin) sui tassi stimati di crescita della diffusione dell'accesso a Internet a banda larga nei prossimi anni. Viene ottenuto un numero adimensionale che viene di nuovo arbitrariamente interpretato come "numero di posti di lavoro" che verranno "persi" nell'Unione nei prossimi anni (fino a 1.217.000). Basterebbe questo conteggio e questa lunga serie di assunzioni arbitrarie per far bocciare qualsiasi studente ad un esame di Statistica 1. Ciò fra l'altro implicherebbe che più si diffonde Internet, più si perdono posti di lavoro nell'UE, in progressione lineare. Ma c'è dell'altro.
Quel numero viene interpretato assumendo che TUTTE le perdite da pirateria (ottenute allo stesso modo con la prima parte del calcolo errato di cui sopra) ricadano sulle compagnie europee. Tuttavia questo è manifestamente errato in quanto le compagnie non europee (per esempio americane) sono le principali distributrici di opere cinematografiche e giocano inoltre un ruolo non trascurabile nel commercio della musica posta sotto copyright. Ammesso e non concesso che la pirateria rappresenti un danno per i paesi esportatori di monopoli intellettuali, occorrerebbe allora calcolare il beneficio per i paesi importatori, che sono, nei settori considerati, anche i Paesi Membri dell'Unione Europea.
Per la verità, questo errore viene ammesso direttamente dagli autori dello studio, anche se soltanto in una frasetta nelle conclusioni: "Per risultare pienamente consistenti, avremmo dovuto considerare i prodotti pirata nella proporzione locale/estero (per tutti i prodotti creativi considerati), MA QUESTI DATI NON ERANO DISPONIBILI." Questa frasetta, già da sola, è un'esplicita ammissione dell'inattendibilità dello studio, come ci si deve aspettare da qualunque "studio" che si basi su fattori di correzione fissati arbitrariamente, parametri di fantasia e dati non disponibili. Con un simile sistema, profondamente contrario al metodo scientifico comunque lo si interpreti (in senso Galileiano, Popperiano, Kuhniano, alla Feyerabend ecc.) un qualsiasi set di dati sperimentali può essere manipolato per trarre qualsiasi conclusione faccia comodo spacciare. Sarebbe una triste constatazione del fallimento della diffusione della cultura scientifica presso i policy maker se uno "studio" simile potesse essere da essi considerato una base sulla quale decidere politiche legislative di enforcement o comunque politiche concernenti i monopoli artificiali.
Riferimenti: Nozioni elementari di statistica. Edizioni Giuridiche Simone, 2006 Borra, Di Ciaccio. Statistica: metodologie per le scienze economiche e sociali. Milano, McGraw-Hill, 2008 Piracy and Jobs in Europe: Why the BASCAP/TERA Approach is Wrong. Social Science Research Council, As Expected, Ridiculous, Wrong, Exaggerating And Misleading Report Claims That 'Piracy' Is Killing Jobs "
Qualche giorno fa Fabio Chiusi su L'espresso online ha pubblicato un lungo e dettagliato articolo dal titolo eloquente "Musica, la bufala delle major" in cui si contestano i dati forniti dall'industria musicale a sostegno dei danni da "pirateria".
Puntuale come la morte, è arrivata la replica di Enzo Mazza, presidente della FIMI: tutto falso, i numeri sono quelli e chi lo nega è un cialtrone.
Il problema è che le fila dei cialtroni continuano ad ingrossarsi: a fine gennaio è stato presentato il rapporto "The sky is rising" dove lo scenario delineato da Fabio Chiusi trova piena conferma.
Ho avuto modo di illustrarne i contenuti nel corso nella tavola rotonda "La riforma del diritto d’autore ed il rilancio del mercato degli audiovisivi digitali", organizzata dall'Istituto per la Competitività lo scorso 23 febbraio, destando la meraviglia e l'irritazione dei presenti, in primis del Commissario Agcom, Antonio Martusciello (si, proprio quello degli "arruffapopolo"), che nella sua relazione aveva sciorinato i soliti dati forniti direttamente dall'industria dell'intrattenimento (questo perchè l'Autorità è "indipendente").
E' stata mia premura farne avere il giorno seguente una copia allo stesso Martusciello, casomai decidesse di convertirsi al "conoscere per deliberare".
Ad esempio sarebbe interessante sapere se sbagliano la PricewaterhouseCoopers (PwC) e iDATE quando registrano che tra il 1998 e il 2010 "the value of the worldwide entertainment industry grew from $449 billion to $745 billion".
Così come sarebbe interessante sapere da chi o in che modo sono manipolati i dati fornti dalla IFPI (International Federation of the Phonographic Industry) secondo cui il valore globale dell'industria musicale nel 2005 era di 132 billion dollars, per salire nel 2010 a 168 billion dollars.
Segnalazioni: "La riforma del diritto d’autore ed il rilancio del mercato degli audiovisivi
Domani interverrò per Agorà Digitale alla Roundtable I-Com “La riforma del diritto d’autore ed il rilancio del mercato degli audiovisivi digitali” che l’Istituto per la Competitività terrà a Roma dalle ore 17 alle ore 20 presso la sede di Via del Quirinale, 26.
Il dibattito aperto dalle relazioni iniziali di Marco GAMBARO, Professore di Scienze Economiche Aziendali e Statistiche Università di Milano, e Angelo ZACCONE TEODOSI, Presidente IsICult – Istituto italiano per l’Industria Culturale, prevederà gli interventi istituzionali di Antonio MARTUSCIELLO, Commissario Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, Renzo LUSETTI, Membro Commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni Camera dei Deputati, Antonio PALMIERI, Membro Commissione Cultura, Scienza e Istruzione Camera dei Deputati e Roberto ZACCARIA, Vicepresidente Commissione Affari Costituzionali Camera dei Deputati.
Qualche settimana fa Open Rights Group ha pubblicato la proposta di un codice di condotta che i titolari dei diritti d'autore stanno discutendo con i principali motori di ricerca inglesi od operanti in Inghilterra.
La lettura del documento si rivela particolarmente interessante per comprendere come potrebbe cambiare il web (e non solo il web) qualora gli estremisti del copyright dovessero prevalere.
Si ipotizza un'ingerenza non soltanto nei risultati delle ricerche che dovrebbero premiare i siti "certificati" rispetto agli altri, ma anche la completa "sparizione" dai risultati dei siti "pirata".
Si chiede, inoltre, ai motori di ricerca di assicurare che non sosterranno siti illegali consentendo loro di accedere a circuiti pubblicitari, impedendo finanche l'uso di "parole associate con la pirateria" (sic!) ("ensure that they do not support illegal sites by advertising them or placing advertising on them, or profit from infringement by selling key words associated with piracy or selling mobile applications which facilitate infringement").
Seguendo queste linee guida un sito realizzato da fan di una band musicale (che inevitabilmente conterrà materiale "pirata", anche se inoffensivo commercialmente) dovrebbe risultare quasi irraggiungibile attraverso i più comuni motori di ricerca e non dovrebbe poter accedere ad un servizio come "adwords" di google per farsi conoscere.
Ma la parte più inquietante del documento è quella relativa alle apps su android.
Si chiede a Google, in considerazione del suo interesse economico diretto, di:
1. visionare effettivamente ogni applicazione per valutare se possa facilitare o incoraggiare violazioni del diritto d'autore o se, semplicemente, sia strutturata per farlo; 2. rimuovere dall'android market tutte le applicazioni che consentono di scaricare illegalmente contenuti anche via p2p; 3. impedire che applicazioni simili possano essere nuovamente caricate; 4. chiudere gli account degli sviluppatori che abbiano realizzato le applicazioni di cui sopra.
In sostanza la maggior parte della applicazioni, oggi presenti, che consentono di scambiarsi contenuti e di comunicare dovrebbero essere rimosse, posto che nelle comunicazioni tra pari è inevitabile che ci si possa scambiare anche contenuti protetti dal diritto d'autore.
Questa è l'Internet che i titolari dei diritti vorrebbero in nome del copyright: vanno fermati, soprattutto nel loro interesse.
Con sentenza n. 722 del 14 febbraio 2012, il Consiglio di Stato, sez. V, ha confermato la piena validità del fax come mezzo di comunicazione nell'ambito delle procedure di gara, anche quando la trasmissione avvenga tramite pc, utilizzando un software che consenta un invio multiplo.
Ricorda il Consiglio di Stato, infatti, in primo luogo che "il rapporto di trasmissione via fax è strumento idoneo a garantire con sufficiente certezza l’effettività della comunicazione e, quindi, a far decorrere i termini di impugnativa, senza che il soggetto che ha trasmesso il fax debba fornire ulteriore prova oltre quella risultante dal rapporto di trasmissione che indichi le regolari avvenute trasmissione e ricezione; grava, invece, sul ricevente che assume la mancata ricezione fornire la prova contraria" (principio questo, ormai consolidato)
Interessante la parte relativa alla modalità "particolare" di spedizione del fax nel caso di specie: "Trattasi, invero, di rapporto cumulativo (cioè attestante l’invio della medesima comunicazione ad una pluralità di imprese tra cui anche la podestà Amedeo s.r.l.), determinato dal fatto che, in considerazione del numero elevato dei destinatari, l’invio del documento è stato effettuato a mezzo l’ausilio di un programma informatico (il software Zetafx che consente l’invio massivo di fax direttamente da personal computer), programma della cui funzionalità non v’è ragione di dubitare, atteso che nel rapporto generato da tale sistema sono presenti tutti gli elementi identificativi della comunicazione effettuata via fax, cioè il mittente, l’oggetto, il nome o la denominazione dell’impresa destinataria; la data e l’ora di invio; l’esito della trasmissione (inviato, tentato, fallito)".
Come dire, un fax resta sempre un fax, anche se lo si spedisce con il pc :-)
Il comunicato stampa (qui il testo integrale della sentenza)della Corte di Giustizia UE relativo alla sentenza pronunciata nella causa C360/10 - SABAM c. Netlog è l'ennesima conferma che la tutela del diritto d'autore non può spingersi fino al punto di calpestare o mettere in pericolo diritti fondamentali dei cittadini come quello alla riservatezza e alla libertà di espressione e comunicazione.
Si legge nel comunicato che "l’ingiunzione di predisporre un sistema di filtraggio implicherebbe una sorveglianza, nell’interesse dei titolari di diritti d’autore, sulla totalità o sulla maggior parte delle informazioni memorizzate presso il prestatore di servizi di hosting coinvolto. Tale sorveglianza dovrebbe inoltre essere illimitata nel tempo e riguardare qualsiasi futura violazione e postulerebbe l’obbligo di tutelare non solo opere esistenti, bensì anche opere che non sono state ancora create nel momento in cui viene predisposto detto sistema. Un’ingiunzione di questo genere causerebbe, quindi, una grave violazione della libertà di impresa della Netlog, poiché l’obbligherebbe a predisporre un sistema informatico complesso, costoso, permanente e unicamente a sue spese.
Gli effetti dell’ingiunzione non si limiterebbero alla Netlog, poiché il sistema di filtraggio controverso è idoneo a ledere anche i diritti fondamentali dei suoi utenti, ossia il loro diritto alla tutela dei dati personali e la loro libertà di ricevere o di comunicare informazioni, diritti, questi ultimi, tutelati dagli articoli 8 e 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Infatti, l’ingiunzione implicherebbe, da un lato, l’identificazione, l’analisi sistematica e l’elaborazione delle informazioni relative ai profili creati sulla rete sociale, informazioni, queste, che costituiscono dati personali protetti, in quanto consentono, in linea di principio, di identificare gli utenti. Dall’altro, l’ingiunzione rischierebbe di ledere la libertà di informazione, poiché tale sistema potrebbe non essere in grado di distinguere adeguatamente tra un contenuto illecito ed un contenuto lecito, sicché il suo impiego potrebbe produrre il risultato di bloccare comunicazioni aventi un contenuto lecito.
Di conseguenza, la Corte risponde che il giudice nazionale, adottando un’ingiunzione che costringa il prestatore di servizi di hosting a predisporre un simile sistema di filtraggio, non rispetterebbe l’obbligo di garantire un giusto equilibrio tra il diritto di proprietà intellettuale, da un lato, e la libertà di impresa, il diritto alla tutela dei dati personali e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni, dall’altro".
Viene da chiedersi, allora, come possano essere compatibili con il diritto comunitario normative nazionali, come quella francese, che hanno implementato una sorveglianza generalizzata degli utenti della Rete, affindandone l'esecuzione ad un'autorità amministrativa (HADOPI).
Sempre spulciando tra i documenti depositati in Commissione Industria del Senato sul decreto liberalizzazioni è possibile leggere (pag. 257) le ragioni che, già nel lontano 2004, avevano spinto l'Autorità Garante per la Concorrenza e del Mercato a chiedere un'apertura al mercato del settore dell'intermediazione dei diritti connessi.
Scriveva allora l'Autorità: "L’esistenza di un organismo di gestione collettiva di detti diritti - come già per i diritti di utilizzazione economica dell’autore - sembra trovare razionale giustificazione nell’esigenza di carattere generale di assicurare un adeguato livello di protezione ai titolari dei diritti connessi, evitando disparità di trattamento tra gli stessi. In tale contesto, tuttavia, risulta sproporzionata la previsione di un regime di intermediazione necessaria dell’IMAIE, rispetto al quale cioè non viene riconosciuta alcuna libertà di scelta in capo ai titolari dei diritti stessi. Vale, infatti, evidenziare che l’IMAIE svolge la funzione di intermediario collettivo necessario, attribuita allo stesso dalla legge n. 93/1992, indipendentemente dal conferimento di un espresso mandato in tal senso da parte dei titolari dei diritti di cui trattasi. Orbene, siffatta limitazione, determinata dalla mancata previsione della menzionata facoltà di scelta in capo ai singoli artisti, non appare, in realtà, sorretta da alcun interesse di portata generale tale da controbilanciare giustificatamente la compressione dei diritti di autodeterminazione ed autonomia negoziale propri della sfera giuridica del titolare dei diritti connessi. Ed appare, altresì, idonea a configurare una ingiustificata posizione di preminenza in capo all’IMAIE stesso. Sul punto, si ritiene, pertanto, opportuno garantire che sia tutelato l’interesse del titolare del diritto a determinarsi autonomamente circa le scelte di gestione dei propri diritti e, quindi, che sia salvaguardata la sua facoltà di decidere liberamente se ed eventualmente a quale intermediario affidare l’esercizio dei propri diritti, con particolare riferimento all’esercizio del proprio credito al compenso. Una revisione in tal senso dei profili sopra richiamati in relazione alla normativa in esame appare, dunque, più coerente con la disciplina posta a tutela della concorrenza sia per quanto riguarda le modalità di effettiva salvaguardia degli interessi degli artisti interpreti ed esecutori, sia per quanto riguarda la posizione dell’IMAIE nel settore in questione, atteso che le sue funzioni di intermediario sarebbero in tal modo conseguenza di un potere di rappresentanza di fonte volontaria. In conclusione, alla luce delle considerazioni sopra esposte, l’Autorità auspica una modifica in senso concorrenziale della esaminata normativa in relazione alla gestione dei diritti connessi degli artisti interpreti ed esecutori".
Continuando a leggere il dossier preparato dal servizio studi del Senato si comprendono poi le ulteriori motivazioni che hanno spinto il Governo a premere sulla liberalizzazione: "Che la raccolta dei compensi spettanti alla categoria - ai sensi della legge n. 633 del 1941 sul diritto d'autore - passasse obbligatoriamente per tale Istituto parve vistosamente in contrasto con la decisione della Commissione del 16 luglio 2008 relativa ad un procedimento ai sensi dell'articolo 81 del trattato CE e dell'articolo 53 dell'accordo SEE (Caso COMP/C-2/38.698 — CISAC): la Commissione europea in tale sede ribadì che l'attività di intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore è libera e che singoli ordinamenti nazionali non possono impedire ai titolari dei diritti la libertà di decidere liberamente a quale intermediario affidarsi".
Abbiamo già perso troppo tempo. Liberalizziamo ora, e non solo l'intermediazione dei diritti connessi. Aboliamo il monopolio SIAE.
Come noto, l'articolo 39, D.L. 1/2012 (c.d decreto cresci-italia) ha liberalizzato l'attività di intermediazione dei diritti di artisti, interpreti ed esecutori.
Tra i documenti depositati in commissione, ce ne sono due fatti pervenire dall'IMAIE, l'ente che ha l'attuale monopolio in materia di diritti connessi di artisti, interpreti ed esecutori che prova a spiegare (in maniera, evidentemente, del tutto disinteressata) perchè il monopolio sia una cosa buona per gli artisti e che non può esistere concorrenza all'interno del territorio nazionale ma, al massimo, in ambito sovranazionale.
Il secondo, in particolare, contiene una tavola sinottica concernente la situazione negli altri paesi europei: in tre (Austria, Belgio e Olanda) esiste un monopolio ex lege, in due (Danimarca e Lettonia) non ci può essere più di una società di collecting per tipologia di diritto, nel resto non esiste alcun monopolio legale, ma si dice nel documento, la concorrenza comunque non c'è e il monopolio esiste di fatto.
Stante quanto sopra, secondo IMAIE dovremmo tenerci la sua efficientissima gestione. La posizione degli artisti, però, è differente e siccome i diritti in gioco sono di loro titolarità forse qualche voce in capitolo è giusto che l'abbiano.
Ad ogni modo, la vera ragione principe per cui non si può liberalizzare e che chiude il documento IMAIE è la seguente:
"in uno scenario in cui la pirateria audiovisiva sta raggiungendo dimensioni allarmanti, invece di promuovere una convergenza di interessi e favorire la coesione di tutte le categorie penalizzate, l’intervento governativo andrebbe a spaccare e dividere i titolari dei diritti connessi (produttori, artisti musica, artisti audiovisivo), in totale controtendenza da quanto avviene in altri paesi".
Insomma, caro Monti, ma con tutta questa pirateria che c'è in giro, ti sembra il caso di liberalizzare?
E' stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il c.d. decreto semplifica-Italia del Governo Monti (DECRETO-LEGGE 9 febbraio 2012, n. 5).
L'articolo 39 così recita: "Comunicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata al registro delle imprese 1. Le imprese costituite in forma societaria che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, non hanno ancora indicato il proprio indirizzo di posta elettronica certificata al registro delle imprese, provvedono a tale comunicazione ai sensi dell'articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, entro il 30 giugno 2012."
Tutto chiaro no? C'era un obbligo di legge da rispettare con un breve termine (TRE ANNI!) di preavviso: invece di sanzionare (pesantemente) chi non si è messo in regola si è prorogata (sanando l'inadempimento) la scadenza al 30 giugno 2012.
Evviva il paese dei furbetti, quelli che sanno che per ogni omissione ci sarà sempre una sanatoria.
Questa mattina si è svolta oggi al Senato la conferenza stampa #liberalizziamoilfuturo che ha visto la partecipazione di una schieramento trasversale di parlamentari tra cui Donatella Poretti (Radicali), Lucio Malan (PDL) , Felice Belisario (IDV), Beppe Giulietti (Misto) e Vincenzo Vita (PD).
Con una certa sorpresa ho potuto registrare un consenso pressocchè unanime alla proposta di Agorà Digitale circa l'abolizione del monopolio SIAE nel settore dell'intermediazione dei diritti d'autore.
L'inizio dello slogan che, come Agorà Digitale, abbiamo scelto per la nostra campagna adesioni 2012 recita: "Bisogna darsi da fare in un modo accanito".
Non l'abbiamo mai vissuto come un semplice messaggio ad effetto, ma come la sintesi del nostro modo di operare.
Nelle prossime 48 ore dovremo darci da fare in un modo ancora più accanito perchè non si perda la straordinaria occasione di liberare il Paese da una serie di vincoli antistorici che rappresentano, al contempo, il principale ostacolo per la nascita di nuove iniziative imprenditoriali.
Nel corso di una conferenza stampa, convocata presso il Senato della Repubblica, mercoledì 8 febbraio, ore 11:00 presenteremo il pacchetto di riforme #liberalizziamoilfuturo.
Perchè abbiamo bisogno di liberarci dal monopolio SIAE e dall'odioso bollino (inutile balzello nella lotta alla pirateria), perchè abbiamo bisogno di scegliere, come regola e non come eccezione, soluzioni a codice aperto per il software della PA (come volano per le piccole e medie imprese che con il software libero/open source lavorano), perchè dobbiamo restituire al mercato la possibilità di decidere quali e quanti sconti applicare sui libri che compriamo, perchè dobbiamo liberare le biblioteche da una serie di vincoli che ne limitano fortemente la funzione di diffusione della cultura, anche digitale.
Come ha scritto Luca Nicotra, segretario di Agorà Digitale, sul suo blog: "Mercoledì quindi non faremo promesse. Presenteremo codice. Codice dello stato, cioè norme. Contenuti in emendamenti che dal decreto liberalizzazioni a quello semplificazioni ci permettano di cambiare passo. Ora. Davvero, cosa dobbiamo aspettare? Che siate un'associazione, un imprenditore o un esperto di nuove tecnologie scrivete subito. (nicotra@agoradigitale.org). E vi sarà dato spazio. E credito (altro principio delle comunità aperte). Ma solo se la vostra proposta può diventare velocemente codice."