martedì, febbraio 28, 2012

The sky is rising: Enzo Mazza replica a Paolo Brini

Ho appena ricevuto la replica di Enzo Mazza (FIMI) al post di ieri in cui erano contenute le osservazioni di Paolo Brini sullo studio "Tera consultants" sui danni da pirateria.

La trovate riportata di seguito. Buona lettura.

"mi chiedete una risposta e non ho problemi a fornirla. A parte l'approccio per il quale si risponde ad uno studio di 68 pagine con due sprezzanti considerazioni sulle basi della statistica. Ma veniamo ai punti chiave.

Scrivete: Prima di tutto, il calcolo delle perdite dei posti di lavoro nell'UE è ottenuto moltiplicando il numero totale di “infrazioni” riportate dai gruppi industriali per un un “tasso di sostituzione” arbitrario di 0,1 (citato da Enzo Mazza, qui basti far notare che ci sono studi che calcolano tale tasso, che pertanto non deve e non può essere fissato aprioristicamente >0)" Lo studio TERA cita altre ricerche che usano fattori di conversione e applica una media conservativa.

Le ricerche considerate, tutte con fattori di conversione maggiori sono: Hui and Png (2003) Peitz and Waelbroeck (2003, 2004) Zentner (2006 Michel (2006) Montoro-Pons and Cuadrado-Garcia (2006) Hong (2004, 2008) Liebowitz (2008) Leung (2009).

Magari tutti ignoranti di statistica, ma mi auguro di no, visto che si sono fior di accademici e alcuni studi non sono certamente teneri con l'industria.

Scrivete: "moltiplicato ancora per il prezzo medio di vendita del bene, diviso per il salario medio nell'Unione Europea, rimoltiplicato per 2 (altro fattore completamente arbitario) ed ulteriormente rimappato 1:1 (credo sia questo il 100% a cui si riferisce Boldrin)".

No, non è questo a cui si riferisce Boldrin dato che nell'articolo dell'espresso afferma: «Niente affatto», replica l'economista della Washington University, Michele Boldrin, «per una ragione che sanno anche i sassi: sono cifre a cui si arriva immaginando che chi ha ascoltato musica scambiandola con altri via internet senza il download l'avrebbe comprata, ai prezzi di monopolio di circa 20 euro per cd che le compagnie musicali impongono grazie al copyright».

Non è così, ed è questo che ho tenuto a segnalare con il mio post. Lo studio applica fattori di conversione completamente diversi da quelli citati da Boldrin e,nel caso della musica media tra prezzi digitali e cd fisici ovviamente.

Quello che afferma Boldrin all’Espresso non è vero, non è mai stato detto dall’industria che rappresento e non è scritto nello studio TERA.

Scrivete “sui tassi stimati di crescita della diffusione dell'accesso a Internet a banda larga nei prossimi anni. Viene ottenuto un numero adimensionale che viene di nuovo arbitrariamente interpretato come "numero di posti di lavoro" che verranno "persi" nell'Unione nei prossimi anni (fino a 1.217.000). Basterebbe questo conteggio e questa lunga serie di assunzioni arbitrarie per far bocciare qualsiasi studente ad un esame di Statistica 1.”

Vi sono studi dell'OCSE che applicano le stesse metodologie, anche in altri settori. Ma l'importante è denigrare il copyright. Se si parlasse di posti di lavoro nel settore auto tutti a scrivere che l'OCSE afferma che andranno persi milioni di posti di lavoro....

"Quel numero viene interpretato assumendo che TUTTE le perdite da pirateria (ottenute allo stesso modo con la prima parte del calcolo errato di cui sopra) ricadano sulle compagnie europee. Tuttavia questo è manifestamente errato in quanto le compagnie non europee (per esempio americane) sono le principali distributrici di opere cinematografiche e giocano inoltre un ruolo non trascurabile nel commercio della musica posta sotto copyright. "

A parte che la critica denota una scarsa conoscenza del mercato della musica. Prima di tutto le imprese cinematografiche e musicali non hanno più niente a che fare. Pertanto Universal Music non c'entra nulla con Universal Picture e Warner Bros niente con Warner Music, così come Columbia non è Sony. Detto questo, le società discografiche che operano in Europa generano ricavi che restano principalmente in Europa e i danni ad un gruppo come Vivendi, per esempio, azienda francese che ha sede in Francia sono danni per l'economia europea. In Italia, ad esempio, oltre il 54 % del venduto è costituito da repertorio italiano, e la pirateria colpisce le aziende con sede in Italia incidendo sui fatturati dell’azienda come e tanto quanto un’azienda locale. Non si capisce poi dove dovrebbero essere questi supposti benefici per società di importazione. Non solo, i danni ovviamente si riflettono anche sulla filiera i cui dati vengono da voi ignorati attribuendo un "raddoppio" arbitrario dei posti di lavoro quando la ricerca analizza le perdite per canale (vedasi appendice 7 dello studio integrale TERA) Avevo citato l'OCSE e suggerirei anche di leggere lo studio “ Magnitude of counterfeiting and piracy of tangible products – November 2009 update” e l'allegato sul digitale.

Saranno anche loro dei poveri studenti bocciati di statistica?

In ultimo ricordo un altro studio realizzato da KPMG per Amcham nel 2003. Anche lì sono stati usati degli elementi per la valutazione dei danni basati sul modello KPMG forensic utilizzato per quantificare i danni nelle controversie commerciali. In tutti questi studi i danni calcolati sono estremamente conservativi."

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2 Commenti:

Alle 9:33 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

Grazie per la replica. Ritengo che essa sia molto utile per i lettori in quanto aggrava (forse inconsapevolmente?) la posizione dello studio TERA, per i seguenti motivi:

0) L'industria automobilistica si muove in una realtà di scarsità reale, mentre quelle musicale e cinematografica in un regime che si basa sulla scarsità artificiale, fittizia. Non è necessariamente consistente un confronto fra le due e fra i poteri predittivi di metodi statistici applicati a realtà radicalmente diverse.

1) Le ricerche ulteriori citate soffrono del medesimo problema di assumere a priori un fattore di conversione >0. Si veda il primo capitolo del "Libro Bianco" scritto da Marco Scialdone e da me, nella parte concernente gli studi realmente indipendenti dall'industria che si concentrano sugli elementi utili al calcolo di tale parametro anziché assumerlo a priori, per capire perché questa è un'assunzione errata. Anche il recentissimo "The Sky is Rising" mostra perché l'assunzione di un parametro >0 non è necessariamente corretta. A fronte di questo e del bias di endogeneità da cui sono affetti alcuni degli studi citati da Mazza, applicare una media conservativa dei fattori di conversioni in precedenza erroneamente applicati, come ha fatto TERA, è una soluzione che ovviamente non corregge l'errore (è solo una media conservativa di valori errati), anzi lo aggrava perché suggerisce surrettiziamente ad un policy maker una stima prudenziale che non c'è.

2) Le ricerche ulteriori citate (alcune delle quali analizzate sempre nel succitato capitolo, ed alcune delle quali affette da un bias di endogeneità), ma nemmeno gli autori dello studio TERA stesso a rigore (vedi punto successivo), non pretendono di avere il potere predittivo che l'industria del copyright vorrebbe attribuire allo studio TERA. Inoltre, quand'anche tali studi si utilizzassero per inferire predizioni concernenti perdite di posti di lavoro e/o cali di fatturato e/o "cali di incentivo alla creatività", finalmente a distanza di anni possiamo dire che tali predizioni si sono rivelate clamorosamente errate: si vedano i dati forniti dalle stesse industrie del copyright e da "The Sky is Rising". Quindi la replica di Mazza aggrava la posizione dello studio TERA, perché ricorda che TERA Consulting si è basata su studi che oggi hanno rivelato di non avere alcun potere predittivo.

Paolo Brini [segue]

 
Alle 9:47 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

[segue dal commento precedente]

3) Uno studio non consistente non può in generale avere potere predittivo. Che lo studio TERA sia non consistente è scritto dagli stessi autori, e almeno in questo hanno perfettamente ragione e sono al di sopra di qualsiasi sospetto, essendo lo studio pagato proprio da una parte dell'industria. Fra l'altro ciò rende irrilevante l'obiezione di Boldrin e su Boldrin ai fini della valutazione dell'attendibilità dello studio TERA. Comunque, per amor di precisione, Boldrin NON ha detto che il fattore utilizzato nello studio TERA è 1, come sostiene Mazza (si rilegga l'articolo de L'Espresso).

4) Per quanto concerne i ricavi generati in Europa che restano in Europa, l'errore è di nuovo lo stesso (ed oltre tutto sospetto che l'affermazione assuma causalità fra variabili correlate ma non causalmente correlate, ma su questo potrò meglio riflettere in futuro): non si possono considerare il mercato interno, il mercato dei monopoli artificiali e tanto meno "il mercato del lavoro", come sistemi chiusi o peggio sistemi isolati. Ulteriori motivi sono riportati dal Social Science Research Center (citato nella mia replica precedente). Di nuovo, sono gli stessi autori dello studio TERA ad ammettere questo errore, sottolineando inoltre che non è stato possibile salvare la consistenza dello studio a causa di "dati non disponibili".

5) Non vedo una giustificazione sul calcolo dei posti di lavoro che verranno persi, sul perché tale calcolo dovrebbe essere considerato giusto e sul perché sia lecito attribuire al numero puro risultante il valore di "posti di lavoro che si perderanno". Si noti che l'eventuale correttezza del calcolo non salverebbe comunque la consistenza dello studio TERA e quindi del suo potere predittivo, come peraltro (repetita iuvant!) ammesso dagli autori stessi.

Paolo Brini

 

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