Attivismo in rete
Segnalo due interessanti campagne partite oggi.
Agenda Digitale: si chiede alla classe politica l'adozione di un'agenda digitale per l'Italia coinvolgendo le rappresentanze economiche e sociali, i consumatori, le università.
Buona Rete a tutti.
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Me @ Medialaws
Medialaws è un sito di diritto comparato dei media attivo da gennaio di quest'anno. Mi è stato chiesto di partecipare al progetto ed ho accettato ben volentieri.
Oggi è stato pubblicato il mio primo contributo sul tema della rivendita di cd promozionali nell'ordinamento statunitense.
Buona lettura.
Il 4 gennaio 2011 la Corte d’Appello per il nono circuito degli Stati Uniti d’America si è pronunciata in merito all’applicabilità della c.d. First sale doctrine alla rivendita di CD promozionali (qui il testo del provvedimento).
Sulla base della First sale doctrine chi ha acquistato la proprietà di una copia di un’opera protetta da coyright può disporne liberamente, procedendo anche a successive vendite, senza dover acquisire l’autorizzazione del titolare dei diritti... (prosegue su Medialaws)
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Acquisto di software senza gara: Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza n. 642/2011
Interessante
sentenza del Consiglio di Stato sul tema dell'acquisizione di software da parte della PA attraverso una procedura negoziata senza pubblicazione di bando di gara (l'ex trattativa privata).
In particolare il Collegio, dopo aver premsso che "è del tutto pacifico il principio per cui la procedura di evidenza pubblica costituisce un indispensabile presidio a garanzia del corretto dispiegarsi della libertà di concorrenza e della trasparenza dell’operato delle amministrazioni", ricorda che l’art. 57, comma 2, del Codice dei contratti pubblici di appalto prevede una deroga "qualora, per ragioni di natura tecnica o artistica ovvero attinenti alla tutela di diritti esclusivi, il contratto possa essere affidato unicamente ad un operatore economico determinato".
Secondo il Consiglio di Stato (a differenza di quanto ritenuto dal giudice di prime cure secondo il quale la "unicità" dell’imprenditore offerente prescelto doveva risultare chiara ed evidente ex ante), l'unicità cui la norma sopra richiamata fa riferimento deve essere apprezzata unitariamente e, dunque, non è in radice esclusa dall'espletamento di una procedura acquisitiva dei dati di base (indagine di mercato e successivo benchmark) lunga e complessa, se la stessa si è resa necessaria in ragione della natura del prodotto da acquisire e alla pregressa non positiva esperienza della PA.
In particolare, "laddove si tratti di un prodotto "non ordinario", ma passibile di valutazione sotto svariati punti di vista ("nuovo" verrebbe fatto di dire), non può ritenersi inadeguata la scelta di effettuare una ricerca di mercato, con una successiva sperimentazione particolarmente approfondita. Tale scelta non risulta incompatibile con il rigoroso presupposto richiesto per l’applicazione dell’art. 57, comma 2, del decreto legislativo 12 aprile 2006 n.163, proprio perché volto a verificare che il prodotto fosse "unico". Infatti, proprio l‘indagine di mercato, a seconda dei casi, può far pervenire ad una corretta, informata e meditata conclusione che un prodotto sia "unico" ovvero "infungibile" .
Ed ancora, aggiunge il Collegio, "se si accogliesse una nozione astratta di "unicità", quale quella che pare essere fatta propria dal primo Giudice, anche tenendo conto di tali profili si rimarrebbe fuori dall’ambito applicativo legittimante il ricorso alla disposizione di cui all’art. 57 in oggetto. V’è da chiedersi, però, muovendo da tali presupposti, quando mai essa potrebbe trovare applicazione. Ciò perché sarebbe ben difficile in rerum natura rinvenire esempi di "fornitore unico in astratto" o il che è identico, di prodotto o servizio offerto da un solo fornitore. E men che mai avuto riguardo ad un "prodotto" frutto di creazione intellettuale ed in continua evoluzione quale incontestabilmente è quello in esame.L’interpretazione della citata disposizione, in siffatta ipotesi, non si conformerebbe al canone di restrittività prescritto dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria: trasmoderebbe in una interpretatio abrogans. Non appare viziata, pertanto, una interpretazione, come quella seguita dall’amministrazione, che (ben conscia della circostanza che altri offerenti, in futuro, potrebbero crearne uno similare) ha considerato "unico" il prodotto che, in quel momento, sia pronto all’uso, senza necessità di adeguamenti, modifiche ed ulteriori incrementi ed adattamenti: risulta ragionevole che a tale valutazione di "unicità" essa sia pervenuta tenendo conto del fattore temporale - quanto alla disponibilità del medesimo,-alla circostanza della avvenuta pregressa sperimentazione del medesimo, ed al dato relativo alla possibilità di poterne divenire "proprietaria" acquisendo il "codice sorgente".
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La PEC come firma (su autenticazione e sottoscrizione)
Una delle questioni che sovente vengono affrontate è quello del rapporto tra posta elettonica certificata e sottoscrizione, una relazione sicuramente complicata.
In alcuni casi il legislatore afferma espressamente l'equiparazione dell'invio tramite PEC al documento sottoscritto: è il caso del novellato articolo 65 del Codice dell'Amministrazione Digitale il cui comma 1, lett. c-bis) considera validamente presentate le istanze "trasmesse dall’autore mediante la propria casella di posta elettronica certificata purché le relative credenziali di accesso siano state rilasciate previa identificazione del titolare, anche per via telematica secondo modalità definite con regole tecniche adottate ai sensi dell’articolo 71, e ciò sia attestato dal gestore del sistema nel messaggio o in un suo allegato. In tal caso, la trasmissione costituisce dichiarazione vincolante ai sensi dell’articolo 6, comma 1, secondo periodo. Sono fatte salve le disposizioni normative che prevedono l’uso di specifici sistemi di trasmissione telematica nel settore tributario".
Al comma 2 si afferma poi che "2. Le istanze e le dichiarazioni inviate o compilate sul sito secondo le modalità previste dal comma 1 sono equivalenti alle istanze e alle dichiarazioni sottoscritte con firma autografa apposta in presenza del dipendente addetto al procedimento".
Ancora più esplicitamente nel D.P.C.M 6 maggio 2009, all'articolo 4, comma 4 si afferma: "Le pubbliche amministrazioni accettano le istanze dei cittadini inviate tramite PEC nel rispetto dell'art. 65, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 82 del 2005. L'invio tramite PEC costituisce sottoscrizione elettronica ai sensi dell'art. 21, comma 1, del decreto legislativo n. 82 del 2005; le pubbliche amministrazioni richiedono la sottoscrizione mediante firma digitale ai sensi dell'art. 65, comma 2, del citato decreto legislativo".
Personalmente sono da tempo un sostenitore della tesi che vuole l'invio tramite PEC (e, in alcuni casi, anche via email!) come equivalente alla sottoscrizione elettronica (
rectius: il documento inviato tramite PEC sarebbe un documento informatico recante una firma elettronica semplice), ma come sempre coltivo il dubbio.
Una
recente sentenza del Consiglio di Stato, in altro ambito, mi ha portato a riflettere nuovamente sul tema, in particolare sulla differenza tra busta e contenuto e tra autenticazione e sottoscrizione ("
E’ legittima l’esclusione di una ditta da una gara di appalto che sia motivata con riferimento al fatto che l’offerta economica è priva di sottoscrizione, a nulla rilevando l’apposizione della controfirma sui lembi sigillati della busta che la contiene; invero, tale modalità di autenticazione della chiusura della busta - talvolta associata o alternativa alla sigillatura con ceralacca, secondo le prescrizioni della legge di gara - mira, diversamente dalla sottoscrizione dell’offerta, che serve a far propria la manifestazione di volontà dell’offerente, a garantire il principio della segretezza dell’offerta e della integrità del plico, richieste ai fini della regolarità della procedura").
Ci sarà modo di discuterne domani
.
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Conversazioni sul pubblico dominio
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E anche questa minaccia alla rete è archiviata
Direttamente dal sito dell'AGCOM:
"21) I regolamenti si applicano ai siti che diffondono contenuti generati dagli utenti (cd. UGC)? No. Le delibere dell’Autorità, in piena aderenza con i principi stabiliti dalla direttiva e dal decreto, ne hanno esplicitamente previsto l’esclusione dal campo di applicazione dei regolamenti, tranne nel caso in cui sussistano, congiuntamente, due condizioni in capo ai soggetti aggregatori: sia la responsabilità editoriale, in qualsiasi modo esercitata, sia uno sfruttamento economico. Mentre lo sfruttamento economico è facilmente individuabile, affinché si determini la responsabilità editoriale, sono invece richiesti due elementi concorrenti: l’esercizio di un controllo effettivo sia sulla selezione dei programmi, ivi inclusi i programmi-dati, sia sulla loro organizzazione in un palinsesto cronologico, nel caso delle radiodiffusioni televisive o radiofoniche, o in un catalogo nel caso dei servizi a richiesta. Pertanto, i siti che non selezionano ex ante i contenuti generati dagli utenti, ma effettuano una mera classificazione dei contenuti stessi, non rientrano nel campo di applicazione della norma."
Sarebbe ora necessario che gli stessi che hanno sparso
urbi et orbi informazioni di segno opposto sulla base di una discutibilissima attività ermeneutica provvedano a porre rimedio, visto che la vicenda
, grazie a Repubblica (come sempre ben informata) e
Wired era finita
ben oltre i confini italiani, inducendo a profetizzare che, in virtù delle nuove regole, YouTube avrebbe dovuto lasciare l'Italia.
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Breaking news: crolla il monopolio ex lege della SIAE!
E' quello che riconosce (o forse dovremmo dire "riconosceva") l'esercizio in esclusiva alla SIAE dell'attività di intermediazione dei diritti d'autore. Un monopolio sancito per legge e più volte riconosciuto dalla Corte Costituzionale come legittimo in ragione di un bilanciamento di interessi costituzionalmente protetti.
Su Facebook da qualche giorno gira incessantemente
questo link: si promuove una nuova collecting society che opera in Italia come alternativa alla SIAE.
Alla domanda: "Ma è legale?" rispondono "Assolutamente si. Soundreef è una Collection Society inglese equiparabile alla SIAE ed è ora possibile per tutte le Collection Societies operare in tutta Europa. Ad esempio, la SIAE può fare concorrenza su tutto il territorio europeo e per una Collection Society inglese è vero altrettanto."
L'articolo 180 l.d.a. non esiste e neppure il monopolio SIAE.
E non c'è stato neppure bisogno di abrogare quella norma. Al tempo di Internet è bastata una FAQ.
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AGCM su diritto d'autore in rete
"Forme di riutilizzo ed elaborazione dei contenuti costituiscono un aspetto tipico di internet − sistema reticolare complesso caratterizzato dall’esistenza di una varietà di servizi e prodotti interconnessi da legami di complementarietà − e sono funzionali all’offerta di servizi innovativi. Ciò, tuttavia, attualmente si realizza in un contesto di disequilibrio tra il valore che la produzione di contenuti editoriali genera per il sistema di internet nel suo complesso e i ricavi che gli editori online sono in grado di percepire dalla propria attività, con il rischio che risulti compromesso il funzionamento efficiente dello stesso sistema".
Vi è, dunque, da parte dell'Autorità una doverosa sottolineatura rispetto a quel valore aggiunto prodotto dalla manipolazione dei contenuti e da quella che Lawrence Lessig ha correttamente definito "Remix Culture": da qui l'esigenza di un nuovo equilibrio tra produttori e fruitori, in grado di generari benefici per entrambi ed incoraggiare l'innovazione.
"In quest’ottica" prosegue l'Autorità "le attuali norme sul diritto di autore, non appaiono tener conto delle peculiarità tecnologiche ed economiche di internet, in quanto non disciplinano un sistema di diritti di proprietà intellettuale nel contesto delle nuove e molteplici modalità di riproduzione e di utilizzo dei contenuti da parte di soggetti terzi sul web. Al fine di garantire lo sviluppo in chiave pro-concorrenziale dell’attività di produzione di contenuti editoriali online, pertanto, l’Autorità auspica l’inserimento nell’attuale quadro normativo di una disciplina che definisca un sistema di diritti di proprietà intellettuale idoneo ad incoraggiare su internet forme di cooperazione virtuosa tra i titolari di diritti di esclusiva sui contenuti editoriali e i fornitori di servizi innovativi che riproducono ed elaborano i contenuti protetti da tali diritti."
Ineccepibile. I tempi sono sempre più maturi per un nuovo diritto d'autore.
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In Gazzetta Ufficiale il nuovo codice dell'Amministrazione Digitale
Tante le novità che andranno analizzate con attenzione.
Una su tutte da segnalare subito: si è operata una "liberalizzazione" delle modalità alternative alla firma digitale, alla Carta d'Identità Elettronica e alla Carta Nazionale dei Servizi per l'accesso ai servizi in rete erogati dalle amministrazioni e per la presentazione di domande ed istanze alla PA.
Si è fotografato, dunque, quel modus operandi adottato da molte amministrazioni negli ultimi anni e che era finora ancorato ad una disposizione transitoria, prorogata di anno in anno.
Meno burocrazia, anche digitale.
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La retorica della Rete
Finalmente cominciano a levarsi voci eretiche rispetto alla nuovo culto della Rete officiato dal gran maestro Wired.
Così Vittorio Zambardino su Scene Digitali:
"Noi enunciamo e dichiariamo, stabiliamo principi, scriviamo carte, proponiamo la santificazione di una tecnologia che diventa redenzione. Sarò diventato vecchio, ma c’è qualcosa che non gira, la retorica non è solo quella anti rete dei tecnofobi. C’è anche la retorica dei tecnofili e dei neofiti l’idea che internet abbia bisogno di una lobby, di una campagna e di una enfasi sempre viva, così ecumenica da non urtare nessuna sensibilità e nessun interesse. Quindi così “apolitica”, cioè muta e impotente".
Speriamo in 2011 di eresia.
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Scopri la differenza
A)
B)
Soluzione: A) Rai.Tv Movies B) YouTube Movies. Nessuna differenza. Tutti e due sono siti che legalmente mettono a disposizione film on demand.
Non chiedetemi perchè ma secondo alcuni dovrebbero essere sottoposti a regole differenti.
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Il regolamento AGCOM sui servizi media audiovisivi on demand
E' da qualche giorno disponibile online il
testo della deliberazione AGCOM n. 607/2010 in materia di servizi media audiovisivi a richiesta ai sensi dell'articolo 22-bis T.U. dei servizi media audiovisivi e radiofonici come modificato dal c.d. Decreto Romani.
Una doverosa premessa: il regolamento è estremamente complicato (ai limiti della contraddittorietà) nella sua parte definitoria. E', dunque, facile immaginare che solo l'intervento giurisprudenziale nei prossimi anni sarà in grado di chiarire alcuni dubbi che lo stesso finisce inevitabilmente per generare.
Come spesso capita di recente, le cose più sensate mi pare le abbia scritte un non giurista (a cui, evidentemente, piace ancora prima leggere e poi scrivere),
Stefano Quintarelli.
Partirei da qui:
Articolo 4
Fornitori di servizi di media audiovisivi a richiesta autorizzati all’estero
1. I fornitori di servizi di media audiovisivi a richiesta, legittimamente stabiliti in uno Stato appartenente all’Unione europea o in uno Stato parte della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla televisione transfrontaliera e in questo legittimamente esercenti, non sono tenuti a presentare una segnalazione certificata di inizio attività ai sensi del presente regolamento.
Nel capo II del regolamento ci sono una serie di disposizioni che impongono vari obblighi e che hanno tutte lo stesso incipit:
"I soggetti titolari dell’autorizzazione di cui all’articolo 3".
Dunque, se non sei titolare di autorizzazione quelle disposizioni (e relativi adempimenti) non dovrebbero trovare applicazione nei tuoi confronti. E chi è che può legittimamente operare senza la predetta autorizzazione (
rectius: segnalazione certificata di inizio attività)? I soggetti autorizzati all'estero.
Se la mia interpretazione è corretta, YouTube che ha sede in Irlanda (quanto meno nel senso della normativa cui ci si riferisce) dovrebbe in ogni caso essere esclusa dall'applicazione del regolamento in commento e ciò a prescindere da ogni altra valutazione.
E' vero che uno dei commissari Agcom, Stefano Mannoni,
sembra pensarla in modo differente, ma per fortuna siamo in un paese libero ed ognuno può esprimere le proprie opinioni. Sarebbe interessante conoscere l'opinione dei suoi colleghi: non è detto siano dello stesso avviso.
Infine, una considerazione di carattere generale: Google è la nuova religione del web. Non se ne può parlare male ed è lo spartiacque tra una normativa buona ed una cattiva.
Non si starà esagerando? E lo dice uno che utilizza in modo entusiastico tutti i servizi messi a disposizione da Google e di cui è cliente (CLIENTE) soddisfatto da anni. Perchè Google vende prodotti che noi acquistiamo (pagando in dati personali).
Sta sul mercato, difende i propri interessi.
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Il giorno del pubblico dominio
Il primo gennaio, tutti gli anni, entrano nel pubblico dominio le opere degli autori scomparsi 70 anni fa.
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