domenica, marzo 04, 2012

Il TAR Lazio promuove il Decreto Bondi sull'equo compenso





Due anni fa, commentando su questo blog la sentenza della Corte di Giustizia UE c 467-08, sull'equo compenso per copia privata, avevo scritto: "Ripeto, a mio avviso la sentenza non sposterà molto rispetto alla normativa italiana che è sufficientemente coerente con il quadro comunitario, ma è comunque una pronuncia interessante perchè ricorda, se mai ce ne fosse bisogno, che l'equo compenso non è e non deve diventare una tassa contro la pirateria, ma solo una compensazione per una contrazione dell'area di esclusività del diritto di riproduzione".

Leggendo la sentenza 2159/2012 del Tar Lazio del 2 marzo u.s. (per la verità si tratta di una serie di sentenze, tutte uguali) ne ho trovato conferma.

Per quanto non possa piacere (e a me non piace affatto), il c.d. Decreto Bondi, sottoscritto in data 30 dicembre 2009, con il quale il Ministro p.t. per i Beni e le Attività Culturali aveva stabilito la "determinazione del compenso per la riproduzione privata di fonogrammi e di videogrammi", era ed è rispettoso della vigente normativa nazionale e comunitaria.

Mi riservo di scriverne più approfonditamente per gli amici di Medialaws e DIMT nei prossimi giorni/settimane.

C'è, tuttavia, un aspetto che mi pare significativo sottolineare da subito.

L'equo compenso, dice il TAR, è in sostanza una tassa: "Così ricostruito il quadro della giurisprudenza costituzionale, dunque, non può che giungersi alla conclusione che il pagamento dell’equo compenso per copia privata, pur avendo una chiara funzione sinallagmatica e indennitaria dell’utilizzo (quanto meno potenziale) di opere tutelate dal diritto di autore, deve farsi rientrare nel novero delle prestazioni imposte, giacché la determinazione sia dell’an che del quantum è effettuata in via autoritativa e non vi è alcuna possibilità per i soggetti obbligati di sottrarsi al pagamento di tale prestazione fruendo di altre alternative. In questo senso, dunque, il profilo della imposizione è – per usare le parole della Corte – “prevalente”.

Lo sottolineo perchè dal testo della sentenza (se avrete la pazienza di leggerla) emerge una ricostruzione dell'equo compenso la cui funzione precipua (indennizzare i titolari dei diritti per una restrizione dell'area di esclusività del diritto di riproduzione) si affievolisce di molto, per divenire una forma di socializzazione dei danni da pirateria (si legge nella sentenza: "Come ha rilevato la SIAE nelle note di replica depositate per l’udienza, e sottolineato anche l’Anica nella sua memoria, le rapidissime innovazioni tecnologiche degli ultimi anni (c.d. rivoluzione digitale) hanno profondamente mutato il modo di fruizione della musica, video ecc., rendendo possibile la riproduzione gratuita ad uso privato delle opere dell’ingegno (in particolare, quelle musicali, cinematografiche ed audiovisive), determinando una notevolissima diminuzione dei proventi spettanti ai titolari delle opere dell’ingegno (nell’anno 2011, ad esempio, si è registrata una flessione del 50% nella vendita dei supporti fonografici, cfr. grafico prodotto in giudizio dalla SIAE pag. 3 note di replica depositate per l’udienza). La crisi del settore ha indotto il Legislatore sia comunitario che nazionale – in sede di recepimento della direttiva – ad adottare le misure necessarie per poter garantire la remunerazione dei titolari delle opere dell’ingegno, imponendo il pagamento di un “equo compenso” per copia privata").

Pur non incidendo sulla legittimità della decisione finale, ritengo che si tratti di una ricostruzione dell'istituto in grado di destare forti perplessità e su cui sarà interessante tornare a discutere.

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