Ci prendono per fessi (ovvero: pacco, doppiopacco e contropaccotto sulla PEC di Stato)
La storia della PEC di Stato sta diventando un pò la mia ossessione, ma mi pare racchiuda in sè il peggio della politica italiana, in uno strano intreccio tra aziende di stato, tecnologie farlocche e sperpero di denaro pubblico.
Provo a ripercorrerne le tappe.
La posta elettronica certificata (PEC) viene introdotta nel nostro ordinamento con il D.P.R 68/2005, a sua volta "attuativo" di una disposizione del 2000 del T.U.D.A., l'articolo 14, comma 3 che così recitava "la trasmissione del documento informatico per via telematica, con modalita' che assicurino l'avvenuta consegna, equivale alla notificazione per mezzo della posta nei casi consentiti dalla legge".
Passano gli anni e la PEC rimane un oggetto misterioso: nessuno la usa, complice la mancanza di interoperabilità con l'email tradizionale. La PEC funziona solo per comunicare con altre caselle PEC. La PEC, inoltre, è una roba solo italiana, negli altri paesi non esiste: un vero controsenso rispetto alla universalità della rete.
Una tecnologia, dunque, destinata a cadere nel dimenticatoio (del resto, la storia dell'informatica ne è piena) finchè qualcuno non decide di resuscitarla nel modo peggiore: imponendola per legge.
Con il Decreto Legge 185/2008 (convertito in legge 2/2009) il Governo prevede che le imprese e i professionisti debbano necessariamente dotarsi di una casella di PEC e, non contento, decide di "regalare" una casella di PEC ai cittadini che ne facciano richiesta.
L'articolo 16-bis della legge 2/2009, infatti, prevede che "per favorire la realizzazione degli obiettivi di massima diffusione delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni ai cittadini che ne fanno richiesta e' attribuita una casella di posta elettronica certificata il cui utilizzo abbia effetto equivalente, ove necessario, alla notificazione per mezzo della posta"
Fate bene attenzione alle parole: ai cittadini che fanno richiesta è attribuita una casella di posta elettronica certificata.
Nella stessa disposizione si rimanda ad un D.P.C.M. per la definizione delle modalità di rilascio e di uso della casella di posta elettronica certificata assegnata ai cittadini.
Il Decreto in questione viene adottato il 6 maggio 2009 e, ancora una volta, specifica che (art. 3)
"Al cittadino che ne fa richiesta la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie, direttamente o tramite l'affidatario del servizio, assegna un indirizzo di PEC".
"Al cittadino che ne fa richiesta la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie, direttamente o tramite l'affidatario del servizio, assegna un indirizzo di PEC".
Lo stesso decreto specifica che l'affidatario del servizio sarà scelto con gara.
Riassumendo: il cittadino ha diritto ad una casella PEC.
Ad inzio agosto, quando tutti sono in vacanza, viene pubblicato il bando per la scelta dell'affidatario del servizio.
E' qui che il gioco delle tre carte si materializza: davanti avevi la PEC, l'avevi vista, era lì, solo che quando allunghi il dito, scopri che sotto la carta che hai indicato non c'è la PEC ma la CEC-PAC, che non si capisce bene cosa sia.
Si capisce solo che si tratta di un sistema ancora più chiuso, diverso dalla PEC, che serve solo per comunicare con la PA e non con il resto del mondo e che costerà a tutti noi (giusto perchè doveva essere gratis!) tra i 25 e i 50 milioni di euro.
Dunque, la legge ci assegnava una casella di PEC (già di per sè una patacca) e Brunetta ha deciso che non la meritavamo e ci ha rifilato la CEC - PAC, con buona pace del diritto.
Pacco, doppio pacco e contropaccotto.
Etichette: amministrazione digitale, brunetta, gara, pec
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